Voltar ao sagrado
Na missa de Corpus Christi o Papa reafirma o valor do culto eucarístico e da adoração do Santíssimo Sacramento
O mundo precisa do sagrado. De facto, o seu desaparecimento «empobrece inevitavelmente a cultura». E corre o risco de deixar espaço aberto «aos muitos substitutos presentes na sociedade de consumo, a outros ritos e sinais, que muito facilmente poderiam tornar-se ídolos».
A celebração do Corpus Christi – com a missa em São João de Latrão e a procissão do Santíssimo Sacramento que se concluiu na noite de quinta-feira, 7 de Junho, em Santa Maria Maior – ofereceu a Bento XVI a ocasião para reafirmar alguns pontos firmes da doutrina do culto e da sacralidade da Eucaristia. Dois aspectos que, observou o Pontífice, nos últimos tempos sofreram as consequências de «uma interpretação unilateral do Concílio Vaticano II» e de «um certo equívoco da mensagem autêntica da Sagrada Escritura».
Para o Papa, antes de mais, deve ser reafirmada a importância da adoração eucarística como «acto de fé e de oração dirigido ao Senhor Jesus, realmente presente no Sacramento do altar». Um aspecto que não contradiz a centralidade da celebração, na qual «o Senhor convoca o seu povo, o reúne ao redor da dúplice mesa da Palavra e do Pão de vida, o alimenta e o une a si na oferta do Sacrifício».
Na realidade, explicou o Pontífice, «o culto do Santíssimo Sacramento constitui o ambiente espiritual dentro do qual a comunidade pode celebrar bem e na verdade a Eucaristia». Com efeito, precisamente o estar em joelhos em silência diante do Santíssimo associa o sacerdócio comum ao sacerdócio ministerial, constituindo assim «uma das experiências mais autênticas do nosso ser Igreja».
Também a propósito da sacralidade da Eucaristia o Papa convidou a não se deixar influenciar por uma determinada mentalidade secularista que exclui a sua subsistência. Jesus, recordou Bento XVI, «não aboliu o sagrado mas levou-o a cumprimento». Por isso ele conserva uma dimensão «mais verdadeira, mais intensa», juntamente com uma «função educativa» sobretudo para a formação dos jovens.
9 de Junho de 2012
terça-feira, 5 de junho de 2012
•LA RISCOPERTA DI ROMANO AMERIO .Iota Unum
LA RISCOPERTA DI ROMANO AMERIO .Iota Unum : Estudos Sobre as Transformações da Igreja no Século XX .CAPITULOS DE TODA LA OBRA IOTA UNUM .Iota Unum a sudy of changese Catholic church in the XX Century. Iota unum: étude des variations de l'Église catholique au XXe siècle
LA RISCOPERTA DI ROMANO AMERIO . Iota Unum: O Resultado Paradoxal do Concílio e o Sínodo Romano . Romano Amerio: La Reforma Litúrgica . Iota Unum online Several chapters of Romano Amerio's opus magnum . Iota unum: étude des variations de l'Église catholique au XXe siècle .
LA RISCOPERTA DI
ROMANO AMERIO
Pubblichiamo un articolo di S. Ecc. Mons. Mario Oliveri, Vescovo di Albenga-Imperia apparso sul n° di giugno 2009 di Studi Cattolici Mensile di studi e attualità via Stradivari, 7, 20131 MilanoL'articolo in formato pdf |
La riscoperta di Romano Amerio
Nel 1985, l’Editore Ricciardi pubblicava un corposo e accurato studio di Romano Amerio, dal titolo Iota Unum - Studio delle variazioni della Chiesa Cattolica nel secolo XX. Ora, due altre Case editrici hanno annunciato la riedizione di quel libro di 656 pagine [Fede e Cultura -Verona e Lindau -Torino], |
e la cosa è vista in diversi ambienti come di notevole significato e interesse. Anche L’OsservatoreRomano, che a quello studio, al suo primo apparire, non aveva dato attenzione, adesso ha mostrato interesse. Anzi, il giornale della Santa Sede aveva già riportato significativa informazione circa un Convegno di studio riguardante la personalità e l’opera letteraria, filosofica e teologica del pensatore di Lugano.
Nel 1985, l’Editore Ricciardi pubblicava un corposo e accurato studio di Romano Amerio, dal titolo Iota Unum - Studio delle variazioni della Chiesa Cattolica nel secolo XX. Ora, due altre Case editrici hanno annunciato la riedizione di quel libro di 656 pagine [Fede e Cultura -Verona e Lindau -Torino], e la cosa è vista in diversi ambienti come di notevole significato e interesse. Anche L’OsservatoreRomano, che a quello studio, al suo primo apparire, non aveva dato attenzione, adesso ha mostrato interesse. Anzi, il giornale della Santa Sede aveva già riportato significativa informazione circa un Convegno di studio riguardante la personalità e l’opera letteraria, filosofica e teologica del pensatore di Lugano. Un’opera silenziata
Al primo apparire dello studio di Romano Amerio non fu certamente soltanto L’Osservatore Romano a fare silenzio su l’opera che era stata concepita per far riflettere, per far pensare, per richiamare al rigore di ragionamento dell’intelletto umano. L’opera da moltissimi ambienti di cultura (soprattutto di cultura religiosa, di cultura teologica) era stata ignorata, condannata proprio al silenzio. Da altri ambienti, invece, ahimè, era stata pregiudizialmente bollata come scritto anti-conciliare, tipico esempio di un rifiuto del pensiero nuovo, dell’era nuova, della nuova pentecoste, della nuova primavera dello spirito; frutto di una mens che si meraviglia che da un nuovo incessante pensare nasca necessariamente una nuova azione, un nuovo modo di azione, e dunque di impostare tutta la missione della Chiesa: se la Chiesa ha di sé stessa una nuova concezione - e questo era in quel tempo il modo di ragionare dominante di molta letteratura che si presentava come cattolica -, se dal Concilio è nata una nuova ecclesiologia, perché non accogliere una nuova pastorale, nuovi metodi di azione all’interno di tale nuova Chiesa, perché non accettare che un pensiero che sempre si rinnova, che sempre si autocrea, generi un continuo cambiamento nell’azione, un progresso indefinito, verso qualcosa che resta sempre necessariamente indefinito?
Non si meravigli il lettore della descrizione dell’ambiente che prevaleva dentro la Chiesa quando l’opera di Amerio fu pubblicata. Non poteva sicuramente dare buona attenzione al pensiero di Amerio chi era ormai convinto che il Concilio Vaticano Il rappresentasse una vera discontinuità con quello che la Chiesa aveva per secoli, nel passato, insegnato, operato, vissuto. Diffusissima era la mentalità secondo la quale il Vaticano II fu davvero una rivoluzione, una svolta (cambiamento di direzione), un mutamento radicale o sostanziale (benché non si adoperasse quest’ultimo termine, poiché sostanza era un concetto appartenente a una filosofia superata, superata dal pensiero filosofico moderno ... ).
Per molti, moltissimi, il mettere a silenzio, il rifiutare il pensiero di Amerio era naturale, era anzi un dovere: nessuno poteva permettersi di ingenerare dubbi di qualsiasi natura sul Vaticano II, se non – tutt’al più - per dire che esso era stato ancora troppo prudente, e che quindi era necessario andare oltre, poiché sempre si deve andare oltre.
Ragionamento sempre lineare
Se qualcuno ritenesse eccessivo questo discorso, avrebbe senz’altro la possibilità di tentare di mostrare il perché la pensa in tal modo. Così, quelli che ritenevano, allora, eccessivo il ragionamento di Romano Amerio (in verità sempre lineare, sempre ben articolato, di immediata comprensione) avrebbero potuto instaurare un dialogo (che peraltro propugnavano come la vera formula di ogni progresso nel pensiero e nell’azione e nel trovare la concordia), avrebbero potuto tentare di dimostrare perché la filosofia che sottostava a tutte le pagine di quel libro non era più accettabile, benché fosse stata la filosofia comune all’interno della Chiesa, per secoli, superando cambiamenti storici (sempre accidentali), epoche molto travagliate nella vita della Chiesa e nella vita del mondo. Non lo fecero: tacquero o rifiutarono in blocco, senza dire le ragioni del rifiuto.
Perché ora, qui e là, sembra esservi a riguardo del pensatore di Lugano una qualche attenzione, un atteggiamento un poco mutato?
Forse perché, almeno in certi ambienti ecclesiali (non però sicuramente in tutti) ci si sta accorgendo, e quasi si sta costatando, che senza continuità di pensiero, e quindi nell’azione; che senza continuità nella conoscenza e nell’adesione alla verità conosciuta, non è possibile fare un discorso serio su alcuna cosa, non è possibile dire una parola che valga la pena di ascoltare, di credere, di trasmettere, di farne la base per l’umano comportamento, per l’umano vivere?
Continuità della Tradizione
Si sta forse prendendo atto che là dove il Concilio Vaticano II è stato interpretato come discontinuità con il passato, come rottura, come rivoluzione, come cambiamento sostanziale, come svolta radicale, e dove è stato applicato e vissuto come tale, è nata davvero un’altra chiesa, ma che non è la Chiesa vera di Gesù Cristo; è nata un’altra fede, ma che non è la vera fede nella divina Rivelazione; è nata un’altra liturgia, ma che non è più la Liturgia divina, ma che non è più la Liturgia tutta intessuta di Trascendenza, di Adorazione, di Mistero, di Grazia che discende dall’Alto per rendere davvero nuovo l’uomo, per renderlo capace di adorare in Spirito e Verità; si è andata diffondendo una morale della situazione, una morale che non è ancorata se non al proprio modo di pensare e di volere, una morale relativistica, a misura del pensiero non più sicuro di nulla, perché non più aderente all’essere, al vero, al bene.
Se i timidi segnali di interesse e di considerazione nei confronti di un pensatore che fu mosso da amore per la verità e dunque da amore per la Chiesa, la quale non ha innanzitutto da compiere alcunché se non trasmettere la Verità della divina Rivelazione (e tutto quello che essa comporta), come è stata recepita e vissuta nel corso dei secoli dalla Chiesa di Gesù Cristo, guidata dallo Spirito Santo, ha rilevato con assoluta onestà le variazioni della Chiesa cattolica del secolo XX, ne ha mostrato l’incongrucnza con la Traditio Ecclesiae, con quanto cioè nei secoli era stato dalla Chiesa creduto, insegnato, trasmesso con un linguaggio che non può dire nova (cose nuove, verità nuove), ma tutt’al più nove (in modo nuovo); se tali segnali di interesse e considerazione sono segni reali e dovessero ancor crescere diffusamente, si potrebbe sperare che i tempi del disorientamento in molta Filosofia e in altrettanta Teologia stiano per essere superati per lasciare spazio a un pensiero corrispondente alle essenze, alla realtà delle cose, alla sostanza delle cose, sostanza che non muta, che non può mutare, neppure quando mutano gli accidenti, le forme esterne, le espressioni contingenti, che non costituiscono il quid est di una cosa.
È tuttavia assai dura a morire la mentalità secondo la quale il Concilio Vaticano II sia stato quasi una rifondazione della Chiesa nei tempi moderni, e che con esso la Chiesa abbia fatto pace con il mondo, si sia rappacificata con la modernità, con la filosofia diventata quasi esclusiva negli ultimi secoli, secondo la quale tutto è sempre in fieri, tutto si evolve, tutto dipende dal pensiero creativo dell’uomo, tutto è in suo totale potere.
Non solo interpretazioni
Un’altra idea, molto diffusa, continua a essere sostenuta: quella secondo la quale ci sarebbero state senza dubbio delle variazioni di rilievo, negative, dopo il Concilio Vaticano Il, ma esse sarebbero esclusivamente dovute a erronee interpretazioni del Vaticano II, il quale dovrebbe considerarsi tutto perfetto in sé stesso e che non conterrebbe nei suoi testi nulla, assolutamente nulla, che possa dar adito a cattive interpretazioni.
Questo modo di pensare non tiene conto che i cattivi interpreti, postconciliari, del Concilio, hanno - non pochi - lavorato dentro il Concilio, i cui testi mostrano in diversi punti l’influsso dei novatores: in diversi testi sta qualche radice che favorisce la cattiva interpretazione.
Peraltro coloro che si appellano al cosiddetto «spirito del Concilio» per superarne la lettera, per giustificare l’ermeneutica della discontinuità radicale, sarebbero così poco intelligenti e avveduti da creare il loro ragionamento partendo dal nulla, dall’inesistente? O partendo da documenti - quelli del Concilio - che con nessuna delle loro espressioni potrebbero far pensare a novità rispetto al Magistero della Chiesa nei secoli, negli ultimi secoli, nell’ultimo Pontificato prima del Vaticano Il?
Nei documenti conciliari non vi sarebbe proprio traccia di quella mentalità che esisteva chiaramente all’interno del Concilio e che il cardinal Joseph Ratzinger descrive nel suo libro-autobiografia (La mia vita) in questi termini: «Sempre più cresceva l’impressione che nella Chiesa non ci fosse nulla di stabile, che tutto può essere oggetto di revisione. Sempre più il Concilio pareva assomigliare a un grosso parlamento ecclesiale che poteva cambiare tutto e rivoluzionare ogni cosa a modo proprio ... Le discussioni conciliari venivano sempre più presentate secondo lo schema partitico tipico del parlamentarismo moderno» (pp. 97-98). «Alla fine “credere” significava qualcosa come “ritenere”, avere un’opinione soggetta a continue revisioni» (p. 90).
Dal fenomeno al fondamento
A questo punto, sono contento di poter riprodurre per i lettori della prestigiosa rivista Studi cattolici quanto scrivevo, nel 2005, a modo di prefazione al libro Romano Amerio. Della verità e dell’amore (Marco Editore), di Enrico Maria Radaelli, con Introduzione del prof. Antonio Livi:
«La persona e l’opera intellettuale di Romano Amerio inducono a riflessione; toccano l’essenza della Filosofia e dunque della Teologia. La vera intelligenza della fede non può aversi se non all’interno di un pensiero che ha come suo oggetto la verità, e altresì la certezza della possibilità di raggiungere la verità e di conoscere la verità, di raggiungerla con corretto ragionamento razionale o di accoglierla dall’alto, dopo aver compreso che tale verità va accolta e che essa mai è contro l’intelligenza.
«Non è infatti contro l’intelligenza aderire a una verità superiore all’umana intelligenza, superiore all’umano procedere delI’intelligenza, ma illuminante le reali profondità dell’essere, e che eleva la conoscenza dell’uomo sino a raggiungere la Verità di Dio, della sua divina Parola, del suo Verbo.
«Romano Amerio fu mirabilmente convinto che fede e intelligenza debbono necessariamente incontrarsi, non possono mai essere in contraddizione e in vero contrasto. Egli capì in maniera davvero chiara che non si fa Teologia senza la vera Filosofia, e che questa non perde nulla della propria natura che le viene da Dio, quando si lascia illuminare dalla Verità di Dio, dalla Verità rivelata.
«Tutto il filosofare di Romano Amerio è guidato da fondamentali certezze, senza le quali non è più possibile intendersi, trasmettere la conoscenza di ciò che è, non di ciò che appare. Ecco perché filosofare è sempre un “passare dal fenomeno al fondamento”, come giustamente rileva Antonio Livi; è un passare dall’apparenza delle cose alla sostanza od essenza delle cose; è sempre un superamento degli accidenti per giungere alla sostanza; è sempre un superare ciò che muta, che si presenta in mutevoli modi e forme, per cogliere l’immutabilità dell’essere, dunque dell’essenza. delle cose. È dall’immutabilità dell'essenza delle cose che dipende l’immutabilità della conoscenza, dunque della verità, delle cose.
«Abbiamo perciò il primato dell’essere, abbiamo il primato della verità, abbiamo il primato della conoscenza, abbiamo il primato dell’intelligenza sulla volontà e sull’azione (“nihil volitum quin precognitum”). L’“ageresequitur esse”, l’agere deve conformarsi all’esse, deve conformarsi alla verità.
«Da quanto detto, si comprende perché Romano Amerio, da filosofo e da credente, da cristiano, da cattolico, non ha potuto distogliere il suo sguardo da certi modi di fare teologia, da certi modi di fare magistero all’interno della Chiesa; non ha potuto - poiché allora avrebbe tradito la verità e il bene - disinteressarsi della vita della Chiesa, che non è più concepibile nella sua vera essenza se non deriva dalla Verità e se non tende alla Verità, alla perfetta trasmissione e conoscenza della Verità di Dio.
«Egli fu tra i più convinti che non sono possibili mutamenti sostanziali nella conoscenza della verità e tanto meno nella trasmissione della Verità rivelata; non sono perciò possibili rivoluzioni e mutamenti sostanziali nella verità e nella vita della Chiesa. Ciò che muta è accidentale, mai sostanziale; mutano gli accidenti, non le essenze.
«Non è infatti contro l’intelligenza aderire a una verità superiore all’umana intelligenza, superiore all’umano procedere delI’intelligenza, ma illuminante le reali profondità dell’essere, e che eleva la conoscenza dell’uomo sino a raggiungere la Verità di Dio, della sua divina Parola, del suo Verbo.
«Romano Amerio fu mirabilmente convinto che fede e intelligenza debbono necessariamente incontrarsi, non possono mai essere in contraddizione e in vero contrasto. Egli capì in maniera davvero chiara che non si fa Teologia senza la vera Filosofia, e che questa non perde nulla della propria natura che le viene da Dio, quando si lascia illuminare dalla Verità di Dio, dalla Verità rivelata.
«Tutto il filosofare di Romano Amerio è guidato da fondamentali certezze, senza le quali non è più possibile intendersi, trasmettere la conoscenza di ciò che è, non di ciò che appare. Ecco perché filosofare è sempre un “passare dal fenomeno al fondamento”, come giustamente rileva Antonio Livi; è un passare dall’apparenza delle cose alla sostanza od essenza delle cose; è sempre un superamento degli accidenti per giungere alla sostanza; è sempre un superare ciò che muta, che si presenta in mutevoli modi e forme, per cogliere l’immutabilità dell’essere, dunque dell’essenza. delle cose. È dall’immutabilità dell'essenza delle cose che dipende l’immutabilità della conoscenza, dunque della verità, delle cose.
«Abbiamo perciò il primato dell’essere, abbiamo il primato della verità, abbiamo il primato della conoscenza, abbiamo il primato dell’intelligenza sulla volontà e sull’azione (“nihil volitum quin precognitum”). L’“ageresequitur esse”, l’agere deve conformarsi all’esse, deve conformarsi alla verità.
«Da quanto detto, si comprende perché Romano Amerio, da filosofo e da credente, da cristiano, da cattolico, non ha potuto distogliere il suo sguardo da certi modi di fare teologia, da certi modi di fare magistero all’interno della Chiesa; non ha potuto - poiché allora avrebbe tradito la verità e il bene - disinteressarsi della vita della Chiesa, che non è più concepibile nella sua vera essenza se non deriva dalla Verità e se non tende alla Verità, alla perfetta trasmissione e conoscenza della Verità di Dio.
«Egli fu tra i più convinti che non sono possibili mutamenti sostanziali nella conoscenza della verità e tanto meno nella trasmissione della Verità rivelata; non sono perciò possibili rivoluzioni e mutamenti sostanziali nella verità e nella vita della Chiesa. Ciò che muta è accidentale, mai sostanziale; mutano gli accidenti, non le essenze.
«I suoi scritti, il suo amore alla verità e alla Chiesa, furono da molti non accolti bene, giudicati male, non compresi. Essi meritano una migliore, più spassionata, più vera conoscenza. Il suo severo giudizio sulle nuove impostazioni teologiche, e talora anche su certe posizioni magisteriali degli ultimi decenni della vita della Chiesa, partiva da convinzioni di ragione c di fede che tenevano conto sia del retto filosofare sia della totale Traditio Ecclesiae, che è la vera garanzia circa la conoscenza della Verità rivelata.
«Egli ebbe anche lucida conoscenza delle condizioni dentro le quali il magistero della Chiesa diventa sicura garanzia della Verità rivelata. Quelle condizioni debbono verificarsi tutte, perché l’intelligenza possa comprendere che deve piegarsi alla Verità, che è tanto più alta e vincolante quanto più essa è superiore all’umana intelligenza».
«Egli ebbe anche lucida conoscenza delle condizioni dentro le quali il magistero della Chiesa diventa sicura garanzia della Verità rivelata. Quelle condizioni debbono verificarsi tutte, perché l’intelligenza possa comprendere che deve piegarsi alla Verità, che è tanto più alta e vincolante quanto più essa è superiore all’umana intelligenza».
† Mario Oliveri
Vescovo di Albenga-Imperia
Vescovo di Albenga-Imperia
Iota Unum: O Resultado Paradoxal do Concílio e o Sínodo Romano – Capítulo III do Tomo I da Obra Iota Unum. Estudos Sobre as Transformações da Igreja no Século XX.
A apresentação da obra de Romano feita pelo Bispo de Imperia, Dom Mario Oliveri, pode ser lida aqui.
O Resultado Paradoxal do Concílio e o Sínodo Romano – Capítulo III do Tomo I da Obra Iota Unum. Estudos Sobre as Transformações da Igreja no Século XX.
Por Romano Amerio
Tradução: Carlos Eduardo MaculanO resultado paradoxal do Concílio Vaticano II a respeito de sua preparação se manifesta na comparação entre os documentos finais e os documentos iniciais (propedêuticos), e também nos três eixos principais: I – o fracasso das previsões feitas pelo Papa (João XXIII) e por quem preparou o Concílio; II – a inutilidade efetiva do Sínodo Romano sugerido por João XXIII como antecipação do Concílio e; III – a anulação, quase imediata, da Encíclica Veterum Sapientiae, que prefigurava a fisionomia cultural da Igreja Conciliar.
O Papa João, que havia idealizado o Concílio como um grande ato de renovação e de adequação funcional da Igreja, acreditava que também o havia preparado como tal, e aspirava poder concluí-lo em poucos meses, quiçá como o I Concílio de Latrão com o Papa Calixto II em 1123, quando trezentos bispos o concluíram em dezenove dias, ou como o II Concílio de Latrão com o Papa Inocêncio II em 1139, com mil bispos que o concluíram em dezessete dias.
No entanto, o Vaticano II se abriu em 11 de outubro de 1962 e se encerrou em 8 de dezembro de 1965, durando três anos de modo descontínuo. O fracasso das previsões tiveram origem em haver-se abortado um Concílio que havia sido preparado e na elaboração posterior de um Concílio distinto do primeiro, que gerou a si mesmo. (Nota do tradutor: o autor faz referência aos rumos que tomou o Vaticano II. Um é o Concílio que se idealizou pelo Sínodo Romano, outro é o Concílio que “gerou a si próprio”).
O Sínodo Romano convocado por João XXIII
O Sínodo Romano foi concebido e convocado por João XXIII como um ato solene e prévio à grande Assembléia Conciliar, o qual deveria ser a prefiguração e a realização antecipada do Concílio.
Assim declarou textualmente o Pontífice na Alocução ao Clero e aos Fiéis de Roma de 29 de junho de 1960. A todos o Papa revelou a importância do Sínodo e ainda mais anunciou que além da Diocese de Roma, o Sínodo se estendia a toda Igreja no Mundo. A importância do Sínodo foi comparável aos Sínodos Provinciais celebrados por São Carlos Borromeo antes do Concílio de Trento.
Renovava-se o antigo princípio que quer modelar toda a orbe católica sob o patronato da Igreja Romana. Na mente do Papa o Sínodo Romano estava destinado a ter um grandioso efeito exemplar que se depreendia do feito de que o Papa ordenou a tradução de todos os seus textos para todas as línguas principais do mundo. Os textos do Sínodo promulgados em 25, 26 e 27 de janeiro de 1960 manifestam um completo retorno às essências da Igreja.
O Sínodo decretava: I – restauração da vida religiosa; II – a disciplina do clero se estabelece no modelo tradicional, amadurecido no Concílio de Trento e fundado em princípios sempre professados e sempre praticados. O primeiro princípio é da peculiaridade da pessoa consagrada e habilitada sobrenaturalmente para exercer as operações de Cristo e, por conseguinte, separada dos leigos sem confusão alguma. O segundo princípio era a educação ascética e a vida sacrificada, que caracteriza o clero, embora os leigos possam levar uma vida ascese.
Deste modo o Sínodo prescrevia aos clérigos todo um estilo de conduta retamente diferenciado das maneiras seculares. Tal estilo exige I - o hábito eclesiástico (batina e hábitos regulares), II- a sobriedade nos alimentos, a abstinência de espetáculos públicos e a negação das coisas profanas. Reafirmava-se, igualmente, a originalidade da formação cultural do clero e se desenhava o sistema sancionado de forma soleníssima pelo Papa João XXIII no ano seguinte ao Sínodo através da Encíclica Veterum Sapentiae. O Papa ordenou, inclusive, que se reeditasse o Catecismo do Concílio de Trento, porém a ordem foi desobedecida. Somente em 1981, e por iniciativa totalmente privada, se publicou na Itália sua tradução, conforme consta do L’Osservatore Romano de 5 de julho de 1982.
O Resultado Paradoxal do Concílio e o Sínodo Romano – Capítulo III do Tomo I da Obra Iota Unum. Estudos Sobre as Transformações da Igreja no Século XX.
Por Romano Amerio
Tradução: Carlos Eduardo MaculanO resultado paradoxal do Concílio Vaticano II a respeito de sua preparação se manifesta na comparação entre os documentos finais e os documentos iniciais (propedêuticos), e também nos três eixos principais: I – o fracasso das previsões feitas pelo Papa (João XXIII) e por quem preparou o Concílio; II – a inutilidade efetiva do Sínodo Romano sugerido por João XXIII como antecipação do Concílio e; III – a anulação, quase imediata, da Encíclica Veterum Sapientiae, que prefigurava a fisionomia cultural da Igreja Conciliar.
O Papa João, que havia idealizado o Concílio como um grande ato de renovação e de adequação funcional da Igreja, acreditava que também o havia preparado como tal, e aspirava poder concluí-lo em poucos meses, quiçá como o I Concílio de Latrão com o Papa Calixto II em 1123, quando trezentos bispos o concluíram em dezenove dias, ou como o II Concílio de Latrão com o Papa Inocêncio II em 1139, com mil bispos que o concluíram em dezessete dias.
No entanto, o Vaticano II se abriu em 11 de outubro de 1962 e se encerrou em 8 de dezembro de 1965, durando três anos de modo descontínuo. O fracasso das previsões tiveram origem em haver-se abortado um Concílio que havia sido preparado e na elaboração posterior de um Concílio distinto do primeiro, que gerou a si mesmo. (Nota do tradutor: o autor faz referência aos rumos que tomou o Vaticano II. Um é o Concílio que se idealizou pelo Sínodo Romano, outro é o Concílio que “gerou a si próprio”).
O Sínodo Romano convocado por João XXIII
O Sínodo Romano foi concebido e convocado por João XXIII como um ato solene e prévio à grande Assembléia Conciliar, o qual deveria ser a prefiguração e a realização antecipada do Concílio.
Assim declarou textualmente o Pontífice na Alocução ao Clero e aos Fiéis de Roma de 29 de junho de 1960. A todos o Papa revelou a importância do Sínodo e ainda mais anunciou que além da Diocese de Roma, o Sínodo se estendia a toda Igreja no Mundo. A importância do Sínodo foi comparável aos Sínodos Provinciais celebrados por São Carlos Borromeo antes do Concílio de Trento.
Renovava-se o antigo princípio que quer modelar toda a orbe católica sob o patronato da Igreja Romana. Na mente do Papa o Sínodo Romano estava destinado a ter um grandioso efeito exemplar que se depreendia do feito de que o Papa ordenou a tradução de todos os seus textos para todas as línguas principais do mundo. Os textos do Sínodo promulgados em 25, 26 e 27 de janeiro de 1960 manifestam um completo retorno às essências da Igreja.
O Sínodo decretava: I – restauração da vida religiosa; II – a disciplina do clero se estabelece no modelo tradicional, amadurecido no Concílio de Trento e fundado em princípios sempre professados e sempre praticados. O primeiro princípio é da peculiaridade da pessoa consagrada e habilitada sobrenaturalmente para exercer as operações de Cristo e, por conseguinte, separada dos leigos sem confusão alguma. O segundo princípio era a educação ascética e a vida sacrificada, que caracteriza o clero, embora os leigos possam levar uma vida ascese.
Deste modo o Sínodo prescrevia aos clérigos todo um estilo de conduta retamente diferenciado das maneiras seculares. Tal estilo exige I - o hábito eclesiástico (batina e hábitos regulares), II- a sobriedade nos alimentos, a abstinência de espetáculos públicos e a negação das coisas profanas. Reafirmava-se, igualmente, a originalidade da formação cultural do clero e se desenhava o sistema sancionado de forma soleníssima pelo Papa João XXIII no ano seguinte ao Sínodo através da Encíclica Veterum Sapentiae. O Papa ordenou, inclusive, que se reeditasse o Catecismo do Concílio de Trento, porém a ordem foi desobedecida. Somente em 1981, e por iniciativa totalmente privada, se publicou na Itália sua tradução, conforme consta do L’Osservatore Romano de 5 de julho de 1982.
CAPITULOS DE TODA LA OBRA IOTA UNUM
- Methodological and linguistic definitions.
- Denial of the crisis.
- The error of secondary Christianity.
- The crisis as failure to adapt.
- Adapting the Church's contradiction of the world.
- Further denial of the crisis.
- The Pope recognizes the loss of direction.
- Pseudo-positivity of the crisis. False philosophy of religion.
- Further admissions of a crisis.
- Positive interpretation of the crisis. False philosophy of religion.
- Further false philosophy of religion.
- The crises of the Church: Jerusalem (50 A.D.).
- The Nicene crisis (325 A.D.).
- The deviations of the Middle Ages.
- The crisis of the Lutheran secession. The breadth of the Christian ideal.
- Further breadth of the Christian ideal. Its limits.
- The denial of the Catholic principle in Lutheran doctrine.
- Luther's heresy, continued. The bull Exsurge Domine.
- The principle of independence and abuses in die Church.
- Why casuistry did not create a crisis in the Church.
- The revolution in France.
- The principle of independence. The Auctorem Fidei.
- The crisis of the Church during the French Revolution.
- The Syllabus of Pius IX.
- The spirit of the age. Alexander Manzoni.
- The modernist crisis. The second Syllabus.
- The pre-conciliar crisis and the third Syllabus.
- Humani Generis (1950).
CHAPTER III: The Preparation of The Council
- The Second Vatican Council. Its preparation.
- Paradoxical outcome of the Council.
- Paradoxical outcome of the Council, continued. The Roman Synod.
- Paradoxical outcome of the Council, continued. Veterum Sapientia.
- The aims of the First Vatican Council.
- The aims of Vatican II. Pastorality.
- Expectations concerning the Council.
- Cardinal Montini’s forecasts. His minimalism.
- Catastrophal predictions.
- The opening address. Antagonism with the world. Freedom of the Church.
- The opening speech. Ambiguities of text and meaning.
- The opening speech. A new attitude towards error.
- Rejection of the council preparations. The breaking of the council rules.
- The breaking of the Council’s legal framework, continued.
- Consequences of breaking the legal framework. Whether there was a conspiracy.
- Papal action at Vatican II. The Notapraevia.
- Further papal action at Vatican II. Interventions on mariological doctrine. On missions. On the moral law of marriage.
- Synthesis of the council in the closing speech of the fourth session. Comparison with St. Pius X. Church and world.
- Leaving the Council behind. The spirit of the Council.
- Leaving the Council behind. Ambiguous character of the conciliar texts.
- Novel hermeneutic of the Council. Semantic change. The word “dialogue.”
- Novel hermeneutic of the Council, continued. “Circiterisms.” Use of the conjunction “but.” Deepening understanding.
- Features of the post-conciliar period. The universality of the change.
- The post-conciliar period, continued. The New Man. Gaudium et Spes 30. Depth of the change.
- Impossibility of radical change in the Church.
- The impossibility of radical newness, continued.
- The denigration of the historical Church.
- Critique of the denigration of the Church.
- False view of the early Church.
- CHAPTER VI: The Post-Conciliar Church, Paul VI
- Sanctity of the Church. An apologetical principle.
- The catholicity of the Church. Objection. The Church as a principle of division. Paul VI.
- The unity of the post-conciliar Church.
- The Church disunited in the hierarchy.
- The Church disunited over Humanae Vitae.
- The Church disunited concerning the encyclical, continued.
- The Dutch schism.
- The renunciation of authority. A confidence of Paul VI.
- An historic parallel. Paul VI and Pius DC
- Government and authority.
- The renunciation of authority, continued. The affair of the French catechism.
- Character of Paul VI. Self-portrait. Cardinal Gut.
- Yes and no in the post-conciliar Church.
- The renunciation of authority, continued. The reform of the Holy Office.
- Critique of the reform of the Holy Office.
- Change in the Roman Curia. Lack of precision.
- Change in the Roman Curia, continued. Cultural inadequacies.
- The Church’s renunciation in its relations with states.
- The revision of the concordat, continued.
- The Church of Paul VI. His speeches of September 1974.
- Paul VI’s unrealistic moments.
- The defection of priests.
- The canonical legitimation of priestly defections.
- Attempts to reform the Catholic priesthood.
- Critique of the critique of the Catholic priesthood. Don Mazzolari.
- Universal priesthood and ordained priesthood.
- Critique of the saying “a priest is a man like other men."
Iota unum: étude des variations de l'Église catholique au XXe siècle
Contents
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Civilisation de la nature et civilisation de la personne Civilisation du travail | 412 |
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More
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Critique du christianisme secondaire Erreur théolo gique Erreur eudémonologique | 416 |
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Le mythe du Grand Inquisiteur | 420 |
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Examen du système démocratique La souveraineté populaire La compétence | 425 |
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Examen de la démocratie Une majorité dynamique Les partis | 427 |
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Les Synodes et le SaintSiège | 434 |
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Sacerdoce et synaxe eucharistique | 492 |
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Les mérites du latin dans lEglise Son universalité | 503 |
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510 | |
Déconfiture générale du latin | 511 |
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575 | |
Discrédit du dogme et indifférentisme Les Etudes | 581 |
588 | |
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Obscurcissement de leschatologie Lœcuméné huma | 603 |
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633 | |